Milano, 3 aprile 2025 – Le catene di approvvigionamento delle aziende europee stanno vivendo una profonda trasformazione, guidata dalla necessità di adattarsi a un contesto globale sempre più instabile. Flessibilità e resilienza emergono come fattori chiave per garantire continuità operativa e competitività. È quanto rivela una recente analisi di Bain & Company, condotta su un panel di quasi 200 Chief Operating Officer nel mondo.
“È evidente che le aziende oggi non possono più permettersi di supply chain rigide e vulnerabili”, commenta Andrea Isabella, Senior partner e responsabile italiano AMS (Advanced Manufacturing & Services) di Bain & Company. "Il 75% dei COO intervistati considera la flessibilità una priorità assoluta: ciò dimostra che molte imprese stanno finalmente ripensando i propri modelli operativi per affrontare un mondo in rapido cambiamento."
Accanto alla flessibilità, la resilienza è considerata un’altra leva strategica imprescindibile: il 60% dei COO ritiene cruciale potenziare la capacità di risposta agli imprevisti per assicurare il successo nel lungo periodo.
“Resilienza non è sinonimo di inefficienza, ma di ridondanza strategica” sottolinea Mattia Bernardi, Partner di Bain & Company. "Il 60% delle aziende sta valutando il reshoring per ridurre i rischi legati alla dipendenza da fornitori lontani. Tuttavia, si tratta di una scelta complessa, che comporta costi elevati e rischia di incidere sulla competitività di prezzo, specie in un contesto inflattivo e altamente competitivo”.
Reshoring e nearshoring: l’industria rivede la geografia delle proprie forniture
Il ritorno della produzione vicino ai mercati di sbocco è un’opzione sempre più considerata tra le aziende manifatturiere, alla ricerca di una maggiore rapidità di risposta e minore esposizione a dazi. Tuttavia, il reshoring può rivelarsi economicamente insostenibile se non supportato da incentivi fiscali e da una rete di fornitori locali solida.
Nel 2024, il 61% delle imprese ha dichiarato di voler ridurre la propria esposizione al mercato cinese, in aumento rispetto al 55% del 2022. Negli Stati Uniti, il 43% delle aziende prevede di trasferire parte delle attività fuori dalla Cina. Tra queste, il 53% punta su iniziative di nearshoring verso Paesi come gli Stati Uniti stessi e l’America Latina. Anche in Europa e Medio Oriente si osservano dinamiche simili: circa il 50% dei trasferimenti pianificati coinvolge attività in uscita dalla Cina o dagli Stati Uniti, con destinazioni preferite come l’Unione Europea, il Sud-est asiatico e, in parte, gli stessi Stati Uniti.
“Le aziende stanno cercando il giusto equilibrio tra efficienza e stabilità,” osserva Isabella. “Per il 2025 ci attendiamo un aumento ulteriore dei piani di rilocalizzazione, ma il modello prevalente resta quello ibrido: le strategie di split-shoring, che combinano attività offshore con operazioni onshore e nearshore, restano le più adottate. Anche nell’area EMEA cresce l’interesse verso operazioni offshore verso mercati più lontani, come il Vietnam, con il 42% delle aziende che pianifica spostamenti in questa direzione, rispetto al 37% dell’anno precedente.”
Anche in Italia, le imprese stanno riconsiderando le proprie strategie di approvvigionamento alla luce del nuovo contesto globale. In particolare, le aziende manifatturiere – cuore dell’export nazionale – si trovano oggi di fronte a un bivio: da un lato, l’opportunità di rilocalizzare parte delle produzioni per guadagnare in controllo e reattività; dall’altro, la necessità di rimanere competitivi in termini di costi. “Il reshoring è un’opzione sempre più discussa anche in Italia,” afferma Andrea Isabella. “Si tratta di un’opportunità enorme. Tuttavia, la sua attuazione richiede una politica industriale coerente, che preveda incentivi fiscali, investimenti infrastrutturali e il rafforzamento del tessuto produttivo locale. Senza questi elementi, è difficile attrarre o riportare a casa produzioni ad alto valore aggiunto.”
La sfida dei dazi
Tra i principali ostacoli evidenziati nell’analisi di Bain & Company figurano i dazi doganali e la crescente complessità normativa. Il 70% delle aziende si dichiara impreparato ad affrontare un possibile aumento dei dazi nei prossimi 12-24 mesi. L'80% delle aziende sta rivedendo o sta valutando di rivedere le proprie previsioni a causa delle preoccupazioni legate ai dazi.
“Negli anni passati, molte imprese non hanno incluso il rischio politico tra i fattori decisionali nella gestione della supply chain,” spiega Bernardi. “Oggi è chiaro quanto la geopolitica possa condizionare la produzione, la logistica e persino le scorte.”
Secondo Bain, il 75% delle aziende prevede un aumento dei prezzi dei fornitori tra il 5% e il 20% nel breve periodo, spinto soprattutto da dazi e inflazione. Il 40% stima un rincaro superiore al 10% sui costi dei prodotti. In risposta, molte aziende stanno rivalutando le proprie strategie di procurement, rafforzando i rapporti con i fornitori chiave e pianificando adeguamenti dei listini. “Le negoziazioni con i fornitori diventeranno ancora più delicate nei prossimi mesi,” avverte Bernardi. “Le imprese dovranno trovare un equilibrio tra il controllo dei costi e l’affidabilità della supply chain.”
Tecnologia e AI per una supply chain più intelligente
Per rispondere a queste sfide, molte aziende stanno accelerando gli investimenti in tecnologie avanzate: automazione, intelligenza artificiale e analytics sono oggi strumenti fondamentali per migliorare l’efficienza, prevedere la domanda e gestire la complessità logistica.
“Grazie all’AI, le imprese possono monitorare in tempo reale le condizioni della supply chain e prevenire le interruzioni prima che diventino critiche. Chi saprà agire in anticipo, adottando strategie proattive e tecnologicamente evolute, sarà in grado di prosperare anche in un contesto globale sempre più incerto”, conclude Isabella.