Press release
- Nonostante il brusco rallentamento delle operazioni a metà dello scorso anno, i fondamentali del Private Equity sono ancora solidi: il settore beneficia di 3.700 miliardi di dollari di liquidità e rimane ben posizionato per mettere a segno un'ulteriore crescita nel lungo termine
- Gli investitori individuali, che rappresentano la metà della ricchezza patrimoniale globale, saranno il prossimo grande motore di crescita del PE
- Secondo la ricerca Bain, il Private Equity deve puntare sulla crescita organica e sull'espansione dei margini, dato che i tassi più elevati sono destinati a persistere
- La transizione energetica globale e il web3 presentano alcune tra le maggiori sfide e opportunità per il Private Equity
MILANO, 27 febbraio 2023 — Il private equity globale continuerà a crescere nel lungo termine, anche a fronte di un’improvvisa inversione di tendenza lo scorso anno, determinata dalle turbolenze economiche e dall'incertezza dovuta all'aumento dell'inflazione e dei tassi d'interesse: ecco cosa emerge dal 14° Rapporto annuale sul Private Equity globale di Bain & Company, pubblicato oggi.
Nonostante il brusco rallentamento delle operazioni, delle exit e della raccolta di fondi, registrato intorno a metà anno e innescato da una serie di rialzi dei tassi d'interesse da parte della Fed in risposta al forte aumento dell'inflazione, il 2022 si è rivelato comunque il secondo anno più forte nella storia del Private equity.
Sebbene la battuta d'arresto di giugno abbia contribuito a rallentare drasticamente quella che è stata una corsa decennale del settore, lo studio di Bain evidenzia come i fondamentali del Private Equity rimangano solidi e resilienti, differentemente da quanto avvenuto con la crisi finanziaria. Il Private Equity potrebbe diventare ancora più attraente per gli investitori che soffrono per i limiti dei mercati pubblici.
“Finora, anche quest'anno, abbiamo registrato un continuo rallentamento dell’attività, ma l'attrattività a lungo termine del private equity per gli investitori è una certezza”, ha spiegato Roberto Fiorello, Senior Partner e responsabile italiano del Private Equity di Bain & Company. “Con la ripresa dell'attività di deal nel 2023, il settore continua a essere ben posizionato per una crescita a lungo termine. Nonostante la contrazione delle operazioni, delle exit e dell’attività di fundraising, il 2022 è stato il secondo anno migliore della storia. L'incertezza del mercato globale è innegabile, ma si tratta di un problema che il private equity ha già affrontato e superato in passato”.
Il Private Equity ha chiuso l’anno con la cifra record di 3.700 miliardi di dollari di liquidità: così come accaduto durante l’ultima crisi - durante la quale gli investitori non si sono fatti prendere dal panico, concentrandosi sulla gestione e sulla mitigazione del rischio - i principali operatori continueranno a cercare operazioni in cui impegnarsi, pur tenendo conto delle condizioni macroeconomiche più deboli.
“Mentre il 2022 ha visto un rallentamento a livello globale del private equity, con una diminuzione del valore totale dei deal del 35%”, prosegue Fiorello, “in Italia il 2022 è stato un anno record con un valore di buyout di 64 miliardi di dollari, contro i 36 registrati l’anno precedente. Come negli anni precedenti, i deal italiani lo scorso anno hanno riflettuto l’ampio spettro di settori economici del Paese; oltre ai trasporti, tra i settori spiccano il tech, healthcare, il comparto consumer e gli industriali”.
Sebbene i mercati siano ovviamente incerti, i dealmaker dovranno per forza mettere a segno operazioni in linea con le condizioni di mercato. La chiave del successo sarà impegnarsi in deal in cui l’esperienza e la fiducia sono più elevate. Abbiamo visto che, in passato, nei periodi di crisi, gli investitori che hanno seguito questa strategia hanno generato rendimenti molto elevati, quindi è importante per tutti gli stakeholder del settore proseguire in questa direzione.
Rapida inversione di tendenza rispetto ai massimi storici del 2022, ma il Private Equity è pronto per rifiorire
Dopo aver segnato nuovi record nel 2021, con operazioni completate per un valore di 1.000 miliardi di dollari, a coronamento di uno straordinario ciclo di crescita del settore durato 12 anni, l'improvviso rallentamento dell'attività di PE nel 2022 ha visto il valore globale delle acquisizioni (esclusi gli add-on) calare bruscamente, del 35%, per chiudere l’anno a quota 654 miliardi di dollari. Il numero complessivo di operazioni si è contratto del 10%, con circa 2.300 deal, grazie soprattutto allo straordinario slancio della prima metà dell'anno. Il forte calo dell'attività e del valore delle transazioni nel secondo semestre è stato avvertito in tutte le regioni e nella maggior parte dei settori, con un particolare ribasso in Asia, a causa delle ripetute chiusure del mercato dovute alle misure per il contenimento del Covid.
La riluttanza delle banche a concedere prestiti per grandi operazioni di leva finanziaria – che per anni hanno sostenuto il valore delle transazioni - a partire dalla metà dell'anno, con l'aumento dei tassi di interesse e l'intensificarsi dei timori economici, ha determinato l'andamento del mercato nel 2022. Negli Stati Uniti e in Europa, questo tipo di prestiti è diminuito del 50%, a 203 miliardi di dollari. A ciò è seguita una maggiore attrattiva delle operazioni più piccole, che hanno rappresentato una quota maggiore delle transazioni totali, e degli "add-on", che l'anno scorso hanno costituito il 72% di tutti i buyout nordamericani per numero di operazioni, in quanto investitori e fondi hanno perseguito strategie di "buy-and-build".
L’inversione di tendenza del Private Equity del 2022 ha colpito anche gli investimenti in growth equity e in venture late-stage, segmenti in precedenza molto attivi. Il valore complessivo delle transazioni in questi segmenti è sceso del 28% a 644 miliardi di dollari.
Le exit si sono contratte in misura ancora maggiore rispetto all'attività di investimento: le dismissioni sostenute da buyout sono scese del 42% a 565 miliardi di dollari, mentre le uscite di growth equity sono crollate del 64% a 312 miliardi di dollari. I cali riflettono la completa chiusura del mercato delle IPO in seguito al forte down dei titoli azionari, nonché il calo del 58% delle operazioni tra sponsor. Le vendite ad acquirenti strategici sono state superiori alla media quinquennale, soprattutto grazie alla tenuta degli utili, ma hanno comunque chiuso il 2022 con un calo del 21% rispetto all'anno precedente.
Sebbene la ricerca evidenzi come le prospettive per la raccolta di fondi di private equity rimangano estremamente ottimistiche, anche la nuova raccolta di fondi dello scorso anno ha risentito del deterioramento delle condizioni e della fiducia (-10% rispetto ai livelli del 2021, a 1.300 miliardi di dollari).
Investitori individuali, nuovo volano di crescita del Private Equity
Gli investitori individuali e il loro patrimonio rappresenteranno il nuovo grande motore di crescita del Private Equity. Secondo Bain, gli investitori retail detengono circa il 50% di tutti i patrimoni globali in gestione (stimati tra i 275.000 e i 295.000 miliardi di dollari), con solo il 16% del capitale in fondi d'investimento alternativi: questo segmento ha quindi un potenziale significativo per il Private Equity.
“Gli individui con un elevato patrimonio netto e i loro consulenti sono sempre più attratti dagli investimenti alternativi, alla ricerca di opzioni di diversificazione e di rendimenti migliori di quelli offerti dai mercati azionari e obbligazionari tradizionali. I fondi stanno già esplorando i mercati di investimento retail e si stanno muovendo rapidamente, costringendo il resto del settore a scegliere se far parte del gioco o meno”, continua Fiorello. Nel frattempo, i grandi gestori alternativi stanno facendo passi avanti, e molti hanno lanciato fondi che consentono agli individui più facoltosi di accedere a classi di attività alternative; le banche e i consulenti stanno esplorando le opzioni per i clienti e le fintech stanno lavorando per adattare soluzioni a questa domanda e per semplificare il processo.
Il nuovo focus per i fondi di Private Equity e le prossime sfide: transizione energetica e Web3
La combinazione di tassi di interesse più elevati, destinati a perdurare, e pressioni inflazionistiche rappresenta una duplice minaccia per i fondi di Private Equity e i general partner e crea un nuovo imperativo per questi operatori: creare valore attraverso il miglioramento dei margini e la crescita organica, rispetto al passato, quando i player potevano fare affidamento su espansione di multipli più elevata.
Rispetto a queste sfide legate al contesto, il Private Equity si trova ad affrontare anche altri due grandi mutamenti. Innanzitutto, la transizione energetica globale: la pressione sulle società di private equity per la decarbonizzazione dei portafogli si è intensificata nel 2022, con le autorità di regolamentazione, i consumatori, i clienti B2B e gli investitori che hanno intensificato le richieste di cambiamento. Al tempo stesso, la corsa allo sviluppo di fonti energetiche alternative e di altre soluzioni a basse emissioni di carbonio sta dando vita a un’opportunità generazionale per mettere il capitale al lavoro, che deve essere coltivata dai fondi sviluppando competenze e network. Anche le tecnologie del Web3 sono destinate a rappresentare, nei prossimi 10 anni, un trend di vasta portata in grado di impattare in modo significativo sulle imprese e sui mercati: per molti fondi è il momento di costruire un know-how su questo tema e valutare come sfruttare i cambiamenti tecnologici.
“Per le società di Private Equity”, conclude Fiorello, “sarà imprescindibile riuscire a adattarsi a queste nuove pressioni macroeconomiche, se vogliono vincere in questo difficile contesto. Gli operatori dovrebbero cercare di puntare su gruppi di clienti e settori con una minore sensibilità ai prezzi e concentrarsi maggiormente sulla crescita organica del business, alla luce delle sfide legate alle tecnologie emergenti, ai trend demografici e alla crescita più debole del PIL”.
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A proposito di Bain & Company
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